Missionari martiri: la Giornata di preghiera e digiuno nel nome di Romero
Quaranta anni fa veniva assassinato a San Salvador, durante la celebrazione della Messa, l’arcivescovo Óscar Arnulfo Romero voce potente contro le ingiustizie del mondo. Ancora troppi i martiri e troppe le persecuzioni anche in tempo di crisi sanitaria. La Giornata odierna, dedicata al ricordo di tutti i martiri missionari, ha quest’anno come tema “Innamorati e vivi”
Oggi 24 marzo si celebra la ventottesima Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri, un punto di riferimento per tutti coloro che, nel martirio in odium fidei, non vedono un mero sacrificio ma il compimento di una vita alla sequela di Cristo.
Monsignor Romero e la sua offerta
L’iniziativa è promossa dal Movimento Giovanile Missionario delle Pontificie Opere Missionarie, nell’anniversario, quest’anno il quarantesimo, dell’uccisione di monsignor Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, beatificato il 23 maggio del 2015 e canonizzato il 14 ottobre del 2018. Era infatti il 24 marzo del 1980 quando monsignor Romero fu assassinato dagli squadroni della morte mentre stava celebrando la Messa. La causa, come ricorda il Movimento, presentando la Giornata odierna, fu il suo impegno nel denunciare le violenze della dittatura militare e subito la sua figura generò una grande devozione tanto che un anno dopo la sua morte il popolo lo aveva già proclamato santo de América.
Il messaggio della Giornata
Lo slogan della Giornata è: “Innamorati e vivi”. Un messaggio che custodisce in sé due significati , spiega la Fondazione Missio, organismo pastorale della Conferenza episcopale italiana:” Il primo descrive appieno coloro che ardenti di amore per Dio Padre e le Sue creature hanno investito la totalità del loro tempo per prendersene cura. Il secondo è un vero e proprio imperativo, l’eredità che i martiri hanno ricevuto da nostro Signore trasmettendola a noi, oggi. Solo chi si innamora è disposto ad abbandonare il superfluo per cogliere al fine l’essenza della vita. Questa promessa non è solo speranza per l’avvenire ma prima di tutto garanzia per il presente”.
La Giornata, per le sue caratteristiche – spiega ancora la Fondazione – ricorda la celebrazione in Passione Domini. Un momento di silenzio, di abbandono totale di sé. Ciò che non appartiene a questo giorno però è la disperazione e lo sconforto provocati dall’incapacità di reagire di fronte alle avversità. Essi non appartengono a chi possiede la consapevolezza che il Venerdì Santo è unicamente la “fase di transizione” che conduce alla Risurrezione. Allo stesso modo, quando apprendiamo la vita dei martiri, scopriamo che il loro operato s stato univocamente rivolto a mettersi in comunione con le sorelle e i fratelli, a camminare al fianco di chi soffre gli abusi dei potenti, a denunciare con voce potente le ingiustizie del mondo. Questo atteggiamento, se autentico, conduce inevitabilmente a perdere la propria vita per ritrovarla nella pienezza dell’amore di Dio.
I missionari e le persecuzione dei cristiani
Secondo i dati raccolti da Fides, nel corso dell’anno 2019, e già resi noti, sono stati uccisi nel mondo 29 missionari, per la maggior parte sacerdoti: 18 sacerdoti, 1 diacono permanente, 2 religiosi non sacerdoti, 2 suore, 6 laici. Dopo otto anni consecutivi in cui il numero più elevato di missionari uccisi era stato registrato in America, dal 2018 è l’Africa ad essere al primo posto di questa tragica classifica. igiosa, 1 laica (15). In America sono stati uccisi 6 sacerdoti, 1 diacono permanente, 1 religioso, 4 laici (12). In Asia è stata uccisa 1 laica. In Europa è stata uccisa 1 suora.
Un’altra nota è data dal fatto che si registra una sorta di “globalizzazione della violenza”: mentre in passato i missionari uccisi erano per buona parte concentrati in una nazione, o in una zona geografica, nel 2019 il fenomeno appare più generalizzato e diffuso. Sono stati bagnati dal sangue dei missionari 10 paesi dell’Africa, 8 dell’America, 1 dell’Asia e 1 dell’Europa. Ancora una volta la vita di molti è stata stroncata durante tentativi di rapina o di furto, in contesti sociali di povertà, di degrado, dove la violenza è regola di vita, l’autorità dello stato latita o è indebolita dalla corruzione e dai compromessi. Questi omicidi non sono quindi espressione diretta dell’odio alla fede, bensì di una volontà di “destabilizzazione sociale”.
Il virus delle persecuzioni
Ad oggi “il virus della persecuzione non ha vaccino e si espande rapidamente”: così il direttore di Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) Italia, Alessandro Monteduro che ricorda l’esempio prezioso di professione della fede fino al dono della vita di monsignor Romero, e mette in luce come e quanto le persecuzioni in nome della fede oggi non vengano frenate neanche dalla crisi sanitaria che sta mietendo vittime in tutto il mondo. “Trecento milioni di cristiani vive in terre di persecuzione – spiega Monteduro – questo vuol dire che un cristiano ogni sette la subisce. Parliamo di 21 i Paesi di persecuzione catalogabile come ” estrema”: dalla Corea del nord all’Eritrea alla Nigeria al Burkina Faso. Sono forme virali e aggressive di odio che si sono spostate in modo particolare nell’area dell’Africa occidentale”.
D’altro canto, l’aspetto più bello in questo momento, tale da – dice Monteduro – “rafforzare ciascuno nella fede” è quello che riguarda proprio i luoghi di maggiore persecuzione, dove, nonostante i credenti vivano ciò che in Europa stiamo sperimentando in questi giorni, cioè la impossibilità di seguire i riti, di ritrovarsi insieme, di partecipare alla Messa e prendere l’Eucarestia, proprio loro stanno condividendo la preghiera, stanno invocando per noi la salvezza e la fine della pandemia”.