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A causa di una prodigiosa fuga della statuetta del Santo di Padova, la chiesa della Madonna delle Grazie, la cui primitiva e iniziale costruzione risale alla fine del ‘400, fu ribattezzata col nome di S. Antonio.Con lo scopo di distribuire in maniera piu’ equa le chiese concentrate già nel numero di cinque nel vecchio abitato, in una Monopoli in continua espansione, Mons. Nicola Monterisi, Vescovo della Diocesi, nel 1919, su concessione di un decreto reale dello stesso anno, trasferì il titolo della Parocchia del SS. Salvatore nella chiesa di S. Antonio. Si tratta dell’ex chiesa conventuale dei minori Osservanti che, dopo la cacciata dei frati, nel 1853, fu consegnata dal Demanio al Comune con il largo del Convento, in passato utilizzato come piazza d’armi per le esercitazioni militari; oggi è stato trasformato in giardino pubblico, dove si trova un cippo in ricordo del celebre musicista monopolitano Orazio Fiume (1908-1976).L’interno della chiesa è ad unica navata con cappelle laterali al cui corredo concorsero le più facoltose famiglie monopolitane che costruirono altari, commissionarono dipinti, eressero sepolcri marmorei. La prima a destra è conosciuta come Cappella Piccigalli; segue la Cappella Cortes, famiglia d’origini spagnole, in successione la Cappella Palmieri. In essa è conservata la tela di “S. Antonio”, opera di Costantino da Monopoli ed una statua processionale. La quarta Cappella è dedicata a S. Pasquale Baylon , ricordato da una statua lignea di Nicola Antonio Brudaglio. L’ ultima è denominata Cappella Sforza. Sull’altro lato vi sono le Cappelle Ghezzi, la Cappella della Passione che accoglie una scultura di legno del 500, la Cappella Taveri, la Cappella Isplues, altra famiglia originaria della Spagna. Nel presbiterio si trova un dipinto cinquecentesco di scuola veneziana raffigurante la “ Madonna delle Grazie” alla quale la chiesa era dedicata in origine e due tele raffiguranti l’Adorazione dei Magi e la Visitazione di Maria a Santa Elisabetta.
Nella chiesa, di notevole importanza è certamente la tela, raffigurante S. Antonio, di Costantino da Monopoli. Durante la prima guerra mondiale, in seguito ad un bombardamento da parte di una nave austriaca, il campanile fu in parte distrutto, ma ancora oggi fa bella mostra di sé grazie all’ opera di riedificazione voluta dal parroco dell’epoca, Don Vito Bini.
Due to a miraculous escape of the small statue of
St. Antonio from Padova, the church of
Madonna delle Grazie, was probably built around 1400 and renamed as the church of
St. Antonio. Because of the fact that in the old centre of Monopoli there are already five churches and the town was going to widen, Monsignore Nicola Monterisi, Bishop of Diocese, in 1919 with an official decree transferred the title of Parish from the church of St. Salvatore to the church of S. Antonio. Originally, the church was included into the Monastery of the friars Minori Osservanti. But for the expulsion of friars in 1853, the area in front of the church that is used to be a parade ground for military exercises and the church itself became a Monopoli Town- hall estate. Nowadays, the area is a public garden where a memorial stone of the Monopolitan musician Orazio Fiume (1908-1976) is placed.
On the inside, the single nave church has side chapels equipped by the richest families of Monopoli who built altars, marble tombs and commissioned paintings. The first on the right is the Chapel
Piccigalli; and the Chapel of the family
Cortes, who were from Spain, the Chapel
Palmieri, in which there is the painting of
St. Antonio by Costantino from Monopoli. The fourth chapel is dedicated to S
t. Pasquale Baylon with a wooden statue of the saint. The last one is called Cappella
Sforza. On the other side there are: Cappella
Ghezzi,
Cappella della Passione, (with a wooden statue of XVth century), Cappella
Taveri, Cappella
Isplues (another family from Spain). In the presbitery, there is a XVth century painting from the venetian school dedicated to
Madonna delle Grazie.The most precious painting of the church is St. Antonio by Costantino from Monopoli.
During the 2nd World War , part of the bell tower was destroyed by an Austrian air raid. Nowadays, the bell tower stands out, thanks to the rebuilding that Don Vito Bini wanted.
(03/03/2013)
Dopo un anno di restauro ad opera del laboratorio “Lorenzoni Restauri Surl” di Polignano a Mare, la Statua seicentesca di Sant’Antonio “fuggitivo” è tornata ad essere venerata all’interno della Chiesa di Sant’Antonio.
Scolpita da scultori di botteghe lapicide, la Statua e la base lignea sono state interessate e riportate al loro antico splendore grazie ad un intervento (finanziato dalle offerte) di rimozione delle stuccature e di pulitura, con integrazione pittorica e riposizionamento dell’indice sul vangelo del Santo. Infatti, il saio è ritornato al suo originario color francescano, come anche l’incarnato del viso che era diventato troppo scuro rispetto alla carnagione di un portoghese.
La leggenda di S. Antonio il fuggitivo
Una statuetta di S. Antonio era venerata nell’oratorio privato di Via Garibaldi n° 60 di un ricco e devoto Sindaco, la cui moglie, sebbene molto buona, aveva il grandissimo difetto della maldicenza. Durante una rigida sera d’inverno, chiacchierando con amici intorno ad un focolare, la signora non smentì, come al solito, questa sua umana debolezza, tantochè una vocina sbottò spazientita. La padrona di casa, attribuendo l a voce all’umile servitore, lo licenziò. Quest’anomala circostanza si ripetè per altre sere, finchè una volta, la sciagurata donna, alla vocina più irritata che mai, rispose di andarsene una buona volta.
Un ricco signore monopolitano, probabilmente un Sindaco molto devoto di Sant’Antonio, venerava una statuetta del Santo posata in una nicchia di casa in via Garibaldi n°60.
Sua moglie anch’essa molto pia, aveva però il difetto della maldicenza.
Una sera d’inverno, mentre la famiglia era riunita con alcuni amici attorno al fuoco, la donna “sciolse” la lingua ai suoi graditi discorsi, ma improvvisamente si udì una voce, come di chi ha perduta la pazienza, che diceva: “Mò ‘m n vēchë!”.
La donna maldicente subito tacque, ma, sospettando che la voce fosse di un servitore, immediatamente lo licenziò dal suo servizio.
La serata seguente la donna ricominciò a fare i soliti discorsi con più agio, credendosi libera del suo arrogante censore, ma all’improvviso si fa sentire la stessa voce che dice: “Mò ‘m n vēchë!”.
Anche questa volta alle misteriose parole seguì il licenziamento di un’altra persona di servizio.
Anche la terza sera ricominciarono le solite maldicenze e mormorazioni, ma questa volta la voce gridò più forte: “Mò ‘m n vēchë!”.
“I vàtten’ nè bonē valtâ!” rispose indispettita la sciagurata donna.
Al mattino seguente, di buon’ora, quando il frate sagrestano della Chiesa di S. Maria delle Grazie dei Frati Minori giunse in chiesa e, appena si accingeva ad aprire la porta ai fedeli, fu colpito da una straordinaria luce.
Appena si stropicciò gli occhi, vide a terra la statua di Sant’Antonio di circa un metro di altezza, circondata da gran luce.
Subito corse ad avvertire il frate guardiano e tutti i religiosi, i quali riconobbero subito la statua venerata dal possidente monopolitano.
Quando tutti i cappuccini giunsero in chiesa, furono concordi nell’affermare che alla statua mancava la cappella, ma nonostante tanta convinzione, si decise di riportarla al legittimo proprietario.
La mattina seguente fu ritrovata nuovamente fuori della porta della chiesa.
Fu allora che si riconobbe che Sant’Antonio voleva assolutamente abbandonare quella casa dove regnava tanta maldicenza.
Anche il proprietario constatando tanta evidenza donò generosamente la statua ai frati, che la collocarono a pubblica venerazione sull’altare maggiore della chiesa, ma neanche qui la statua di S. Antonio trovò pace contro la maldicenza.
Infatti, fu più volte trovata col dorso rivolto al popolo; a nulla valse il riportarla di prospetto.
Allora fu eretto un altare nel coro addossato all’altare maggiore dove fu collocata con le spalle rivolte al popolo, il quale per venerarla doveva portarsi nel coro.
Fu così che i fedeli chiamarono comunemente quella statua: «Sant’Antonio il fuggitivo».